Un’altra morte bianca – Decessi sempre in aumento
Non doveva capitare e non dovrà accadere mai più.
Quante volte abbiamo ascoltato questa frase. Sempre, subito dopo l’ennesima notizia di morti sul lavoro. Eppure, nonostante le parole, nonostante le raccomandazioni delle istituzioni un altro ragazzo, marito e padre è deceduto per guadagnarsi da vivere. Giuseppe Lisbino, un operaio di 44 anni, originario di Frattaminore, è precipitato da circa dieci metri di altezza mentre stava montando pannelli fotovoltaici sul tetto di un’azienda. I motivi sono ancora da accertare. Sul posto, subito dopo l’incidente sono accorsi gli operatori del 118 i quali non hanno potuto fare altro se non dichiarare il decesso dell’operaio. Le indagini sono in corso da parte dei Carabinieri di Arzano coadiuvati dal personale dell’Asl Napoli 2 Nord.
Ma non solo lui è vittima di regole non rispettate, di mancata sicurezza. Ogni giorno leggiamo di notizie di cui non vorremmo per nulla sapere perché non è giusto perdere la vita per vivere. Il numero delle morti bianche è sempre alto benché, secondo il bollettino dell’INAIl, il primo semestre si è chiuso con meno denunce di infortunio mortale rispetto agli altri anni. Un dato di certo non da celebrare ma forse segno di una svolta. Forse qualcosa sta cambiando in materia di sicurezza sui posti di lavoro anche se si pensa più a mostrare nei telegiornali, sui social la mappa dell’Italia con le regioni di vari colori per indicare dove ci sono meno o più persone che muoiono per un “pezzo di pane”. Eh si perché è questo per cui si muore. Si esce la mattina presto, si lavora tutta la giornata anche in condizioni sfavorevoli senza protezione e c’è chi non ritorna più a casa e viene anche definito “morte bianca”. Ma cosa c’è di bianco in questa morte. Nulla, perché il bianco è indice di candore, di puro. Da qualche parte si legge di morti “bianche” per indicare come se non fosse colpa di nessuno, di una morte improvvisa simile alla morte del bambino in culla. Ma qui ci sono colpe, ci sono persone che devono assumersi la responsabilità perché se queste applicassero in maniera rigorosa i protocolli previsti dalla normativa nell’ambito antinfortunistico e investissero di più in tutto ciò che riuscirebbe a proteggere al meglio i lavoratori non ci sarebbero figli, mogli, mariti e genitori che piangono chi gli vuole garantire anzi, vorrebbe garantire un piatto a fine giornata, una vita quanto meno modesta.
Ma passare dalle parole ai fatti ce ne vuole. Lo sanno bene anche i sindacati che oltre a ribadire che la sicurezza sul lavoro parte dalla prevenzione e dalla formazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, ritengono che le famiglie hanno bisogno di una giustizia giusta, su un tema come la sicurezza sul lavoro che non è più rimandabile.
M. Alessandra Celardo