Oggi la redazione di ErgoTV ha il piacere di ospitare uno dei più talentuosi rapper campani, direttamente da Frattaminore, Riddle, nome d’arte di Michele Lettera.
Ciao, Michele. La prima domanda che vorrei porti è: perché “Riddle” come nome d’arte?
Da ragazzino taggavo i muri per strada e Riddle era il nome con cui mi firmavo, molte persone avevano iniziato a chiamarmi così e quindi decisi di mantenerlo come nome d’arte, è stato un processo spontaneo. Riddle vuol dire enigma ed è un nome che adottai ispirandomi al villain di Harry Potter. Mi è sempre piaciuto pensare che prima di diventare un mostro, il personaggio abbia avuto un lato umano, e che funzioni così per ognuno di noi. Riddle per me è un invito a preservare quella umanità, a contenere le nostre pulsioni più oscure per evitare che scaturisca il peggio.
Com’è nata la tua passione per il rap?
Quando ero alle elementari ci si scambiava video tramite bluetooth, molti dei video che scambiavo con i miei amici avevano come audio brani di artisti dell’area nord di Napoli come Kidslam e Uomodisu che andavano forte ai tempi. Successivamente con la nascita di Youtube mi imbattei nel brano “Int’o rione” dei Co’Sang e me ne innamorai. Di lì a poco, poi, sarebbe uscito Tradimento di Fabri Fibra ed ebbi modo di ascoltare diversi brani del disco che andarono in radio. Ero un bambino già fortemente predisposto al senso di ribellione, e fu fisiologico per me sentire un fortissimo richiamo verso quella roba. Con gli anni, poi, entrai in contatto con ambienti e persone che mi spinsero ad approfondire il genere e col tempo maturai i miei gusti.
Nonostante la giovane età, hai già pubblicato un album e diversi singoli di successo, come ti fa sentire tutto ciò?
A dire il vero sono un insoddisfatto cronico, mi sento sempre a 0 e ad ogni mia mossa sto già pensando al passo successivo, ho una forte difficoltà a godermi il momento. Credo che il fatto di dover essere anche un po’ i manager di sé stessi in quest’epoca abbia inciso negativamente da questo punto di vista, toglie tempo all’arte e alla spontaneità del processo creativo. L’unica situazione in cui riesco a lasciarmi realmente andare è quando registro e quando sono sul palco, riascoltare la propria voce ed essere soddisfatti del proprio lavoro o vedere il pubblico cantare con te sono sensazioni impagabili e momenti di pura catarsi. Tutto il resto è sovrastruttura.
Qual è stata ad oggi la tua più grande soddisfazione professionale?
Lavorare con Sick Budd è stata un’esperienza indimenticabile, essere ospitato a Milano per poter registrare nel Bullz Studio per un multiplatinum producer è qualcosa che ti ricorda che devi crederci davvero fino in fondo, perché anche dopo tempo l’impegno viene ripagato e le soddisfazioni arrivano.
Chi sono i tuoi riferimenti musicali?
Sono cresciuto ascoltando hip hop e alternative, e apprezzo particolarmente chi è riuscito a coniugare i due generi. In una prima fase di produzione artistica le mie influenze erano principalmente italiane, mi ispiravano artisti come Truceboys, Salmo, Rancore, Mezzosangue, ascoltavo tanto hardcore e conscious rap. Oggi prediligo un mood più emo, devo molto ad artisti come Lil Peep, Lil Tracy, XXXTENTACION, Juice WRLD, ma anche ad artisti più di nicchia come surronderdorothy, nothing,nowhere., Corbin, Brakence. In generale le mie influenze sono nell’alternative/emo rap.
Cosa ne pensi della scena rap italiana?
Ascolto poco, mi annoia il circuito mainstram. Non mi identifico nei testi né mi piace il sound, ma apprezzo diversi artisti di nicchia o emergenti, credo che abbiano qualcosa in più da comunicare e da offrire al panorama musicale.
E di quella napoletana?
Sono contento del riscatto che ha avuto Napoli e della posizione di rilievo che ha assunto all’interno del mercato musicale, ma vorrei che l’offerta fosse più variegata e che non ci si limitasse a un solo modello dominante, o diverremo presto vittime di un nuovo cliché.
Cosa pensi ti diversifichi rispetto a tutti gli altri rapper attuali?
La realness è la prerogativa che muove la mia penna, se ciò che scrivo non mi sembra sufficientemente autentico e sincero lo cancello, anche se dovesse suonare bene. Spesso non percepisco dai miei colleghi la stessa sincerità, o la stessa volontà di comunicare qualcosa di realmente personale. Siamo nell’epoca del vuotismo imperante, l’anticonformismo è diventato il nuovo conformismo, e credo che mai come ora sia necessaria una forte controcultura che sia di opposizione al modello dominante.
Qual è il tuo obiettivo?
Fare di questa roba un lavoro, così da poter, per riagganciarmi alla domanda precedente, avere una cassa di risonanza maggiore e poter contribuire a cambiare in meglio le cose, secondo quella che è ovviamente la mia personale visione del mondo.
Nel freestyle che hai pubblicato sui tuoi social, dal titolo “100 giga di dolore non postato”, affermi di non sentirti in grado, che hai tradito le aspettative. Non sentirti in grado rispetto a cosa e le aspettative di chi?
Come dicevo prima ho una forte predisposizione all’autosabotaggio, e spesso non riesco a sentirmi realmente grato per le opportunità che la vita mi ha offerto e a percorrere le strade che io stesso mi sono spianato. Sono troppo spesso il più grande nemico di me stesso, e mettermi i bastoni tra le ruote è il mio più grande vizio. In quella strofa è come se stessi parlando allo specchio. Non mi sento in grado di godermi il bene, le cose belle, di sentirmi all’altezza delle situazioni. Ciò mi porta a tradire le mie stesse aspettative, e inevitabilmente quelle di coloro che si aspetterebbero il meglio da me. Tutto questo contribuisce a ledere la mia considerazione di me stesso, in un loop eterno di errori auto indotti. Nella parte finale c’è la catarsi, perché alla fine dei giochi ne esco sempre più consapevole. Sopravvivere sempre è la mia maledizione.
Qual è il tuo più grande difetto e quale invece il tuo pregio migliore?
Uno su tutti, mi perdo nell’overthinking. Da ragazzino pensavo che fosse una caratteristica interessante, ma solo oggi mi rendo conto di quanto sia una fottuta condanna. Nel labirinto dei miei pensieri costruisco castelli di scuse per giustificare la mia paura di agire e attribuirmi delle scuse. “Doveva andare così” è una frase che uso spesso per convincermi del fatto che il mio agire non avrebbe influito in alcun modo sull’esito di una qualsiasi dinamica. Per citare me stesso, “mi deresponsabilizzo e do tutta la colpa al fato”. È uno schifo.
Pregio migliore non saprei, probabilmente il fatto di mettermi sempre in discussione. Mi decostruisco ogni volta che mi sento comodo, e ciò mi porta a riscoprire costantemente nuovi aspetti di me stesso. È l’altra faccia dell’overthinking: se all’autodistruzione favoriamo l’autodestrutturazione, potremo ricostruisci, possibilmente in una versione migliore di noi stessi. Questo è bello.
Cosa cambieresti di te?
Vorrei imparare a volermi più bene, ad accogliere le cose belle nella mia vita piuttosto che allontanarle, ad essermi amico piuttosto che avversario, a non rovinarmi sempre i piani.
Puoi dirci qualcosa sui tuoi progetti futuri?
Sto lavorando al mio prossimo singolo, che sarà distribuito da una label indipendente con cui ho firmato un contratto di distribuzione. Se tutto andrà bene dovrebbe essere presto fuori. Mi piacerebbe, dopo, dedicarmi a un progetto più corposo.
Allora non possiamo che farti un grande in bocca alla lupa per tutto e grazie per essere stato dei nostri.
Giuseppe Gervasio